venerdì 27 dicembre 2013

guerre in casa

La morte dall’aria
Nicola Malizia, Italy primari target, Roma, IBN, 2013

La guerra aerea in Italia è argomento che solo in tempi recenti è uscito dall’ambito delle ricerche specialistiche, per passare a una diffusione divulgativa; Malizia, che non è storico di professione e che spesso pecca nell’offrire una dimensione equilibrata a un fenomeno che fu europeo ed ebbe come precursori i teorici della guerra totale come Giulio Douhet, ha comunque la capacità di lasciarci una descrizione puntigliosa di come si svolse il conflitto negli spazi aerei del nostro paese durante gli ultimi due anni di guerra, ossia dal gennaio 1943 al maggio 1945. Si ha così la possibilità di confrontare le descrizioni di identici episodi, letti attraverso i documenti alleati, soprattutto statunitensi, e quelli italiani, prima della regia aeronautica e poi dell’aviazione di Salò. Ciò che emerge è la straordinaria pesantezza e intensità dell’offesa aerea anglo-americana, elemento che sovente è risultato marginalizzato rispetto alla “guerra in casa”, il fronte che risalì la penisola dalla Calabria all’Alto Adige, portando ovunque lutti e distruzione. I civili caduti furono migliaia (ricordiamo su tutte le carneficine di Foggia e Grosseto, che purtroppo lasciano tracce solo nella memorialistica locale), in un tragico rosario che non conobbe armistizi o tregue, proseguendo senza interruzioni sino alla fine del conflitto. Per quanto concerne gli scontri avvenuti nel cielo, l’analisi è impietosa e non lascia spazio a equivoci; anche facendo la tara ai rapporti talvolta approssimativi della RAF o dell’USAAF, la superiorità alleata è schiacciante non solo nei mezzi e nei materiali, ma anche nell’addestramento dei piloti e degli equipaggi. Il confronto appare mortificante specie osservando il numero rilevante di perdite dovute a incidenti di volo o a errori del personale regio e repubblichino (composto nella quasi totalità da elementi già appartenenti all’aeronautica con le stellette: anche su questa adesione massiccia a Salò serviranno prima o poi studi accurati e scientifici); non si contano poi vere e proprie carneficine nei cieli della penisola, a fronte di risultati amplificati in modo imbarazzante dalla propaganda fascista, che nella realtà appaiono magri ai limiti dell’insignificanza; peraltro le scarse attività dell’aviazione cobelligerante, la quale prestò uomini e mezzi ai limiti dell’usura, o scartati “in toto” dagli alleati, restano a testimonianza di scarsa fiducia nelle capacità di coloro che rimasero al servizio del re di Brindisi. Pur con i limiti di alcune parentesi di chiara polemica dal sapore nostalgico, i dati offerti dal Malizia sono strumento utile e interessante per chiunque voglia avvalersi di una cronologia di cosa fu la strage dall’aria, complemento fondamentale per ben comprendere cosa fu la guerra nel nostro paese.

Il monopolio della memoria?
Le stragi del 1943-45, (a cura dell’ANPI), Roma, Carocci, 2013

Nel momento in cui è ormai prossima la redazione de “l’atlante delle stragi”, opera che a settanta anni di distanza dalla guerra ai civili condotta dai nazifascisti dovrebbe offrire un quadro finalmente completo e scientifico sulla stagione del sangue innocente in Italia, il volume raccoglie quelli che sono i “desiderata” dell’ANPI, associazione che ha fortemente incoraggiato la ricerca storica su questi temi. I testi raccolti sono quelli dei diretti interessati al futuro lavoro: gli studiosi, i magistrati che hanno condotto – con il ritardo dovuto al tardivo e incredibile ritrovamento degli archivi di palazzo Cesi a Roma – le indagini su assassini ormai nella loro impunita vecchiaia, e i dirigenti della maggiore organizzazione di ex partigiani del nostro paese. L’intera operazione è meritoria, non fosse altro perché la memoria nazionale, esaurita la generazione di coloro che furono protagonisti e comprimari di quei giorni, appare sempre più sbiadita e lontana; i motivi a parere nostro non sono dolosi, come spesso sottolinea in modo fortemente ideologizzato l’ANPI, ma hanno altre ragioni, lontane e recenti: il sentimento diffuso dell’oblio, al fine di dimenticare il male inflitto e subito, la pluridecennale scarsa propensione al ricordo collettivo, e, al giorno d’oggi, i nuovi fattori di discontinuità nell’entità stessa del paese, a partire dal fenomeno dell’immigrazione, la quale ha condotto nella penisola popolazioni lontane e vicine, con un vissuto del XX secolo totalmente diverso dal nostro, per non dire animato da contrasti stridenti e irrisolti; basti pensare al diffuso e generalizzato sentimento di repulsione degli immigrati slavi verso il marxismo in generale e il socialismo di stato in particolare. Detto questo a nostro avviso si evidenziano limiti e tare che se non corretti, potrebbero pregiudicare i propositi dell’opera; questi cluster sono già evidenziati nelle “anticipazioni” del volume in oggetto: la memoria “monca”, amputata di tutte le contraddizioni che hanno impedito la nascita non solo di una storia condivisa, ma anche e solo semplicemente di una storia accettata da tutti gli italiani; il rifiuto del concetto di guerra civile, con l’ostentata omissione di giudizi discordanti; l’inelegante liquidazione della posizione degli studiosi tedeschi, definita superficiale o poco attenta alle nostre ragioni: in realtà, a parer nostro, è bene non pigiare troppo su questo tasto, visto il nostro atteggiamento da occupanti violenti e straccioni in Slovenia o in Dalmazia, solo per ricordare due delle nazioni più vicine alla nostra; che riparazioni pubbliche abbiamo fatto in queste nazioni? In ultimo, è davvero sconcertante il fatto che giudici unici e ultimi del bene e nel male siano i vertici dell’ANPI,  i quali – davvero con scarso senso delle proporzioni – lasciano in lettura una “relazione di maggioranza” (senza nomi dei firmatari) e “di minoranza” (altrettanto anonima) quasi come se l’associazione fosse una sorta di istituzione rappresentativa di tutte le storie e memorie dell’antifascismo. In realtà così non è, e, aggiungiamo, questa pervicace tendenza all’egemonia non rende giustizia degli sforzi volti a redigere una ricerca di carattere definitivo sull’argomento. Forse, un po’ più di umiltà e meno certezze granitiche avrebbe giovato sia ai redattori che ai promotori del lavoro.

Guerra, guerre, macro, micro …
Alessandro Roveri, La guerra di Hitler da Monaco 1938 a Ferrara 1943, Ferrara, Este edition, 2013


Difficile riuscire a immaginare un titolo tanto infelice per uno studio meritevole invece di attenzioni non provinciali. Roveri è ricercatore che ha lasciato materiali e riflessioni non banali, e anche se nella sua produzione ultima ha illuminato protagonisti discutibili e sbilenchi (rammentiamo una biografia di Antonio di Pietro descritto come uomo provvidenziale per l’Italia del XXI secolo) non va dimenticato quanto di buono ha lasciato in eredità alla storiografia scientifica specie per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo del fascismo emiliano e romagnolo. Quest’ultimo lavoro, che copre i sette anni dal 1938 al 1943, interrompendosi senza spiegazioni apparenti alla fine di quest’ultimo anno, offre una interessante carrellata sui principali attori della crisi europea e del conflitto mondiale, e delle principali scuole storiografiche sull’argomento. Roveri si sofferma lungamente sull’ultima stagione defeliciana, inquadrandone i pregi e i difetti nell’indagine dell’Italia fascista dall’apogeo del regime sino alla sua dissoluzione, così come riprende in modo analitico i nodi emersi negli studi accademici sui totalitarismi svolti nel corso del ‘900 dai ricercatori inglesi e tedeschi. Si può discutere sulla postuma rivalutazione del ruolo di Stalin e dell’URSS nel corso della guerra, ma le tesi dello storico romagnolo sono comunque ben argomentate e documentate – anche se troppo indulgenti nei confronti di un regime oppressivo e sanguinario – pur non portando particolari novità nel dibattito scientifico. Il testo prosegue poi in modo piuttosto frammentario, passando dall’ambito “macro” a quello “micro” delle vicende più strettamente ferraresi, affrontate alla luce delle scoperte più recenti sulla nascita e lo sviluppo del fascismo salotino nella provincia estense; probabilmente ha ragione Roveri quando, senza entrare nel dettaglio dell’annosa diatriba, osserva i risultati primi e definitivi dell’uccisione del federale di Ferrara, Igino Ghisellini, ossia l’inarrestabile ed esponenziale sviluppo della generalizzata violenza fascista e dell’altrettanto dura reazione partigiana. Indubbiamente quella morte (assieme a quella del leader del fascismo milanese Aldo Resega, di cui non si fa menzione nello studio) fu uno spartiacque tra le indecisioni post armistiziali e la stagione della guerra civile conclamata in ogni luogo e ad ogni livello. Non si può infine non concordare con l’autore per una sua riflessione critica, ossia la sciatteria provinciale del ricordo pubblico di quei fatti: una nota e assai imprecisa lapide sul muretto del fossato che circonda il Castello estense, una lapide poco lontano, e un cippo sulle mura cittadine, sul quale le righe consunte dal tempo, riportano nomi e cognomi degli uccisi, con un vago accenno alle cause della prematura dipartita. Spiace la successiva, brusca conclusione dello scritto, che coincide anche con la fine del volume, forse meritevole, come dicevamo di un editing migliore, o di una stesura diversa, magari come raccolta di saggi.