giovedì 27 febbraio 2014

Atti, convegni e raccolte sul XX secolo

Propaganda del novecento
War and propaganda in the XX Century (a cura di Maria Fernanda Rollo, Ana Paula Pires, Noemia Malva Novais), Lisboa, IHC, 2013.

Il volume  in questione raccoglie gli atti di un convegno internazionale svoltosi lo scorso ottobre a Lisbona, incentrato sullo sviluppo esponenziale della propaganda come strumento bellico avvenuto nel XX secolo principalmente in Europa, ma con un occhio di riguardo anche alle lotte per l’emancipazione delle colonie africane; nella raccolta di studi, alcuni aspetti ci sono sembrati particolarmente innovativi: l’analisi su come le nazioni in guerra svilupparono azioni informative (o disinformative) negli stati neutrali sia nel primo che nel secondo conflitto mondiale, argomento che ci ha stupito soprattutto per la mole di energie che venne spesa da tutte le parti in causa per dipingere favorevolmente la propria immagine nei confronti di chi non appoggiava apertamente alcun contendente, ma rappresentava comunque un interlocutore politico ed economico. L’obiettivo delle analisi è focalizzato soprattutto sulla penisola iberica, ma non per questo l’esperienza di Spagna e Portogallo ci pare eccessiva, considerando il peso che ebbero le scelte di campo di entrambi i paesi, soprattutto nella fase conclusiva dell’ultima guerra mondiale. In seconda battuta alcuni aspetti della propaganda per il fronte interno rivelano nuove sfaccettature, come l’importanza nella creazione della “mitologia degli eroi”, obiettivo raggiunto da alcune nazioni impegnate nello sforzo bellico o totalmente fallito da altre, indipendentemente dall’esito favorevole o meno del conflitto, così come la speculare necessità di disumanizzare il nemico interno ed esterno (ci si permetta in merito di segnalare l’intervento del nostro Federico Ciavattone sulla costruzione dell’immagine del “fuorilegge” nella RSI). Anche passando oltre alla pure interessante sezione dedicata allo sforzo artistico e di design in favore delle nazioni impegnate in guerra, ci si lasci concludere con un sincero apprezzamento per la spassionata indagine sui conflitti sanguinosi che coinvolsero il Portogallo in Angola e Mozambico, corredati da una interessante appendice iconografica sui materiali propagandistici dei fronti indipendentisti e delle forze armate portoghesi. Possiamo solo augurarci che, prima o poi, anche il nostro paese possa affrontare in modo equilibrato e allo stesso tempo indipendente e critico la stagione che ci coinvolse come potenza occupante nel continente africano. Purtroppo, almeno per ora, questo tipo di indagine è confinato a studi che, ancora oggi, risultano settoriali, e non dello stesso ampio respiro che abbiamo riscontrato in questa opera collettanea davvero di gran pregio.

Il martirio a oriente
La Chiesa cattolica dell’Europa centro-orientale di fronte al comunismo (a cura di Andrai Fejerdy), Roma, Viella, 2013.

Le storie esplorate in questo lavoro collettaneo, meritoriamente edito grazie al Pontificio istituto ecclesiastico ungherese e al Ministero per le risorse umane magiaro, sono straordinariamente dolorose e allo stesso tempo misconosciute. La coesistenza (perché di convivenza non si può parlare) fra le dittature comuniste e la chiesa cattolica, è ricostruita in un mosaico tragico e spesso sanguinoso, dalle rive del mar Baltico a quelle dell’Adriatico; ognuna delle nazioni europee che non ebbero dalla geografia un aiuto sufficiente per ripararsi dalle ideologie omicide, ha lasciato alle generazioni successive un pegno di autentico martirio per mantenere e tramandare la propria fedeltà a usi e costumi di una civiltà millenaria. La riflessione che ci è sovvenuta leggendo i saggi proposti nel volume è, almeno per quanto ci riguarda, un “mea culpa” senza attenuanti; la nostra generazione di studiosi avrebbe dovuto già decenni fa squarciare il velo del tempio del conformismo, maschera grottesca che nulla a che fare con il rispetto per l’equidistanza e l’obiettività, e raccontare per filo e per segno le cose per come andarono a est della cortina di ferro: le dittature marxiste furono costruite su un odioso e sistematico sistema distruttivo dei culti e delle tradizioni che univano nazioni diverse, ma strettamente legate a vicende comuni, al fine di imporre un ordine nuovo basato sulla persecuzione delle libertà civili e religiose. In Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Jugoslavia il clero cattolico (e non solo) fu sottoposto a vessazioni e umiliazioni, secondo un copione tanto simile da apparire studiato a tavolino da regie che non erano occulte e neppure troppo raffinate; requisizioni di beni e immobili, processi farsa, carcere e uccisioni, ridussero a un silenzio pressoché tombale l’azione pubblica dei pastori, mentre i fedeli furono in ogni modo mortificati. Se un errore venne commesso da parte dei vertici delle chiese che si trovavano dalla parte sbagliata dei confini costruiti a Yalta, esso fu l’ottimismo con cui si considerò, per tutti gli anni ’50, il comunismo, ossia un periodo transitorio, e non un giogo feroce destinato a durare per lustri. L’Ostpolitik vaticana divenne una necessità impossibile da procrastinare, anche se contristò uomini di chiesa dalla schiena diritta e dalla fede non vacillante, i quali lasciarono testimonianze di fedeltà ai valori cristiani degne di riflessione anche per gli scettici fedeli della fortunata, sazia e disperata Europa occidentale. Non si può che esprimere gratitudine per tutti gli autori coinvolti (fra i quali ci si lasci segnalare Stefano Bottoni, che ci lascia una ulteriore prova di padronanza delle vicende magiare e rumene) i quali, in modo piano e documentato, ci lasciano un affresco di dolorosa perseveranza.

Tra complessità e luoghi comuni
Religione e politica in Italia dal Risorgimento al Concilio vaticano II (a cura di Sara Alimenti e Francesca Chiaretto), Torino, Aragno, 2013

Gli atti di questo convegno, organizzato dalla fondazione Luigi Salvatorelli, risentono in modo significativo della particolare temperie del periodo, l’ultimo scorcio del 2008, in cui era al culmine la stagione di polemiche fra le forze politiche laiche e la Conferenza episcopale italiana, nella quale Angelo Bagnasco aveva appena sostituito Camillo Ruini. La raccolta ha quindi un duplice valore: quello legato agli interventi dei partecipanti ai lavori svoltisi a Marsciano, diversi dei quali di notevole interesse storico, e la testimonianza –trasversale e generalizzata – di una non lieta temperie di polemica intellettuale spesso ancorata su cliché tardo ottocenteschi, poco rispettosi delle diverse sensibilità pure presenti all’interno del mondo accademico. La ricostruzione del complesso itinerario relazionale fra il Vaticano, il mondo cattolico, quello laico e il governo del paese, risulta quindi accidentata e conflittuale a seconda di chi ha affrontato i vari temi oggetto dello studio; la laicizzazione della scuola voluta dopo l’unità d’Italia è osservata come una conquista sociale quando rappresentò pure una dolorosa cesura col passato in molte regioni italiane, così come il “declino” di questa particolare declinazione educativa è letto come una sorta di retrocessione della civiltà del paese, senza attenzione ai risultati ultimi, ossia l’effettiva funzionalità dei percorsi scolastici. La dicotomia fra interpretazioni ci è apparsa davvero eccessiva nell’analisi della stagione a cavallo fra regime fascista, resistenza e dopoguerra; gli interventi sono uniformi e animati in modo prevalente da polemica anticlericale spesso spicciola e faziosa: la chiesa al fianco della dittatura, assente nella stagione della resistenza (da partecipanti ai lavori abbiamo cercato, a quanto pare piuttosto inutilmente, di dimostrare come senza l’apporto maggioritario del clero, in ben poche località del nord Italia il movimento di liberazione avrebbe potuto sopravvivere alla persecuzione nazista e fascista) e dalla parte sbagliata nel dopoguerra, se non addirittura connivente con le mafie. I rilievi qui esposti, sia chiaro, non intendono sminuire il valore degli studi presenti nell’opera. Ci si limita a constatare come l’intera intonazione della raccolta sia una sintesi degli errori dalla chiesa cattolica del nostro paese, senza però riflessioni critiche sulle forze interlocutrici, che pure ebbero un peso rilevante nell’incrudirsi delle relazioni fra le parti, specie nel XX secolo. Ci si lasci infine dire che se ancora oggi è fonte di irritazione per certo mondo intellettuale “l’anticomunismo” del mondo cattolico nel secondo dopoguerra, a parer nostro significa che c’è ancora una china assai lunga da risalire per ristabilire torti e ragioni di quella scelta di campo, che fu tanto inequivocabile quanto necessaria, in assenza di parti politiche che potessero rappresentare in ambito progressista, qualcosa di minimamente simile al riformismo nato e sviluppatosi in quasi tutto il resto dell’Europa occidentale.