mercoledì 22 luglio 2015

Storie personali, storie locali, storie nazionali del 1943-45

Siciliani per la libertà
Angelo Sicilia, ,Testimonianze partigiane, Palermo, Navarra, 2015

Il volume di Angelo Sicilia, tramite una importante raccolta di testimonianze inedite, colma un vuoto nella storiografia resistenziale, ossia quello del contributo dei partigiani siciliani alla liberazione dell’Italia sotto la dominazione nazifascista; in realtà questa tipologia di ricerca, ossia le storie dei partigiani originari del Mezzogiorno, appare ancora largamente da affrontare; purtroppo l’assenza di vicende legate alla guerra di liberazione nel sud del paese ha lasciato la percezione di una scarsa presenza di meridionali nella guerra patriottica, mentre invece, come dimostra lo studio in questione, molti gregari, e alcuni importanti capi partigiani avevano percorsi di limpida militanza antifascista, talvolta conclusa davanti ai plotoni di esecuzione della macchina repressiva di Salò. Con pazienza e passione, Angelo Sicilia ha raccolto dai protagonisti di quella stagione, o dai loro familiari, i ricordi dei tragici mesi che vanno dal settembre 1943 all’aprile 1945, mettendo in luce una generazione di giovani che sentirono un moto di ribellione all’occupazione tedesca, sia in patria che all’estero: dai soldati della divisione “Acqui” a Cefalonia agli internati militari che soffrirono e morirono nei campi di concentramento tedeschi, dai fratelli Alfredo e Antonio di Dio, caduti entrambi in battaglia ed entrambi medaglie d’oro al valor militare, a  Pompeo Colajanni, uno dei grandi comandanti del movimento partigiano piemontese. Di tutte le storie (molto spesso colpevolmente dimenticate) che emergono dalla ricerca, ci pare giusto sottolineare un aspetto comune: la necessità dei siciliani di dover scegliere il proprio campo nella guerra civile in atto nel nord Italia, senza avere disponibile l’opzione che invece ebbero tanti cittadini residenti nel settentrione, ossia la possibilità di nascondersi presso amici o familiari compiacenti in attesa della fine della sanguinosa burrasca bellica. Sradicati dalla propria terra, spesso con poca o nessuna conoscenza di territori nei quali perfino i dialetti potevano risultare ostici, i palermitani, come i catanesi o i messinesi, dovettero mettersi in gioco fin dalle prime giornate successive all’armistizio, senza potere in alcun modo tentare di raggiungere la propria casa e i propri affetti, rimasti oltre la linea del fronte fino dal luglio del 1943. Purtroppo la memoria civile di questi uomini è tutt’oggi poco coltivata e conosciuta. A maggior ragione appare meritevole lo sforzo dell’autore per rendere giustizia, quantomeno nel ricordo, per una generazione che ha pagato a caro prezzo “il biglietto di ritorno” alla democrazia del proprio paese e dei propri conterranei.

Asti nera
Nicoletta Fasano, Mario Renosio, Un’altra storia, Asti, Israt, 2015

Nelle aree del paese dove maggiore è stata la presenza e l’attività partigiana, le ricerche dedicate ai responsabili e ai gregari dell’ultimo fascismo sono iniziate quasi ovunque con ritardo pluridecennale, lasciando quindi per un lungo lasso di tempo la ricostruzione delle vicende dei reparti in camicia nera alla memorialistica nostalgica, con tutti i limiti del caso: ricostruzioni parziali, imprecise, se non addirittura agiografiche, che in mancanza di meglio, sono poi successivamente state recuperate (con scarsa attenzione) in studi di orientamento antifascista. Per quanto riguarda la provincia di Asti, arriva ora un lavoro importante sulle strutture politiche e militari della Rsi, grazie allo scrupoloso studio di Nicoletta Fasano e Mario Renosio, i quali affrontano con dovizia di documentazione d’archivio e bibliografica le vicende degli ultimi epigoni del duce in una provincia ribelle al tardivo ritorno di fiamma del regime sotto le baionette naziste. Il quadro che emerge è quello di una nascita stentata delle strutture politiche fasciste e una ancora più difficile ripartenza per i fasci di combattimento, che nel momento di maggiore vigore non raccoglieranno mai più di qualche decina di squadristi, perlopiù impegnati a vendicarsi in modo sanguinoso contro i cittadini inermi, venendo quasi sempre sbaragliati sul campo dalle forti formazioni partigiane delle Langhe e del Monferrato. Interessante la presenza, sia fra i gregari che fra i capi, di fanatici fedelissimi provenienti dal Mezzogiorno e dal centro Italia (i soliti “toscani” che anche in questo caso non faticano a mettersi in luce per la loro crudeltà), almeno fino a quando nella provincia non giunge la presenza militare di un reparto ben equipaggiato e perfettamente addestrato della divisione San Marco, il 3° gruppo esplorante, il quale a tutti gli effetti altro non è che il 2° battaglione del X reggimento arditi del regio esercito, passato armi e bagagli con i tedeschi immediatamente dopo l’armistizio; gli uomini del tenente colonnello Vito Marcianò fino alla fine delle ostilità rappresenteranno una presenza crudele e spietatamente efficiente per mantenere l’ordine nell’Astigiano. La ricerca, infine, raccoglie in modo davvero meritevole di lode le complesse vicende giudiziarie dei collaborazionisti di maggiore spicco, e di diversi comprimari non meno colpevoli, i quali, nella maggior parte dei casi, superata la bufera dell’epurazione sommaria, verranno con mitezza riammessi nella società civile dell’Italia liberata. In conclusione non si può che essere grati a Fasano e Renosio per questo lavoro, tanto pregevole quanto indispensabile per chiunque voglia affrontare in modo serio e obiettivo la storia della repubblica fascista in questa parte del Piemonte.

Nazisti e assassini
Carlo Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia, Torino, Einaudi, 2015

La sensazione che si ha scorrendo le dense e precise pagine che Carlo Gentile ci lascia in lettura è che ci si trovi di fronte ad un volume destinato a segnare un “prima” e un “dopo” rispetto alla storiografia sulle stragi naziste in Italia. La narrazione, le ricostruzioni e le interpretazioni sono infatti di eccezionale livello e qualità, e viene da dire finalmente: veniamo infatti da lustri di  instant book editi sulla scia della cronaca, come nel periodo in cui, una decina di anni fa, l’argomento risorse dall’oblio assieme alla celebrazione dei processi svoltisi al tribunale militare di La Spezia. Non si pensi per questo di trovarci di fronte ad un’opera destinata agli addetti ai lavori, o quantomeno ad un pubblico di specialisti dell’argomento; l’autore, infatti, ha la capacità di appassionare anche chi si avvicini all’argomento per la prima volta, conducendolo lungo una “via dolorosa” che inizia nel Mezzogiorno per terminare nella valle dell’Adige dopo quasi due anni, eccidio dopo eccidio e strage dopo strage, con un doloroso canovaccio che unisce tutti i fatti di sangue narrati: i civili assassinati (donne, vecchi, bambini) spesso in modo barbaro, dalle forze armate naziste. Ognuno degli episodi narrati viene osservato in modo analitico, facendo in molti casi chiarezza sugli autori materiali delle efferatezze, quelli che per decenni – purtroppo – sono stati generalmente definiti “SS” o “divisione Goering”; fatto salvo scoprire che, forse, se ci fosse stata meno ubiquità e più precisione forse si sarebbe potuto risalire prima ai reparti coinvolti nei crimini di guerra. Quantomeno una parola andrebbe spesa sulla vicenda della “marcia della morte del maggiore Reder”, in realtà un insieme di eccidi in parte imputabili all’ufficiale nazista, ed altri causati da altri reparti della 16° divisione SS, che ebbe, nella sua interezza, un comportamento ignobile per tutto il periodo in cui fu presente in Italia: ipotesi che quando fu proposta suscitò diffidenze e scetticismo, e che ora esce confermata dallo studio di Gentile, che della Reichsfuehrer traccia un “case study” per comprendere i motivi di un modo di agire così bestiale. E i risultati individuati restano come monito non solo per il passato, ma anche per interpretare il difficile scenario delle guerre di oggi: l’addestramento alla brutalità, l’imprinting ideologico e la giovanissima età dei tragici protagonisti delle efferatezze. Fosse anche solo per questa lezione di storia e memoria civile bisognerebbe essere grati all’autore, oltre ovviamente al fatto di averci lasciato uno studio destinato a durare.