giovedì 1 giugno 2017

Italia nera, Italia rossa, Italia liberata

Mario Avagliano, Marco Palmieri, l’Italia di Salò, Il Mulino, Bologna, 2017

Gli autori proseguono la loro opera di scavo nel “come eravamo” della nostra nazione, e come nei volumi precedentemente editi, emergono dettagli importanti trascurati in altri studi sul passaggio traumatico dal regime fascista alla democrazia in Italia. Avevamo lasciato in Vincere e vinceremo, un paese stremato e maturo per il collasso istituzionale soprattutto a causa del crollo del fronte interno, ma con ancora fiammate di sincero appoggio al fascismo e alla guerra mussoliniana. La scomparsa del duce dalla scena politica provoca l’ira sorda dei fascisti, i quali, a differenza di come è stato detto e scritto per decenni, non si nascondono e non si convertono, anzi, in molti casi già iniziano a pensare al “dopo” che ritengono inevitabile, ossia l’arrivo dei tedeschi per il ristabilimento dell’ordine interno e delle alleanze belliche. Se quindi il 25 luglio provoca sgomento e desiderio di vendetta fra le camicie nere e fra i tanti simpatizzanti di Mussolini, l’armistizio dell’8 settembre è il momento in cui, drammaticamente emergono le fratture nel tessuto sociale della nazione, seguendo fratture già “in nuce”: dittatura contro democrazia, onore contro libertà, volontarismo contro l’attendismo; il ritorno di Mussolini, la fondazione di uno stato fascista sotto l’aquila nazista e il proseguimento della guerra saranno poi le condizioni perché questo magma ribollente inizi a percorrere l’inevitabile sentiero della guerra civile. Da nessuno voluta (almeno a parole) ma da tutti combattuta, la lotta fratricida sarà lo stigma dei seicento giorni di Salò, con gradazioni diverse di partecipazione: dai soldati in grigioverde reclutati con i bandi emessi da Rodolfo Graziani, che per evitarla diserteranno in modo massiccio, spesso verso le formazioni partigiane (ma anche semplicemente per tornare a casa), alle brigate nere che hanno nel loro dna la repressione dell’antifascismo e della resistenza. Nel vortice finiranno tutti: uomini e donne, giovanissimi e squadristi del ’22, torturatori e galantuomini, profittatori e persone perbene: come spesso accade, nella resa dei conti conclusiva di una guerra civile, il conto sarà pagato in solido non dai più colpevoli ma quasi sempre dai meno furbi, mentre molti fra i capi riuscirono a passare indenni dalla bufera successiva al 25 aprile 1945. Avagliano e Palmieri indagano con maestria questi “cluster”, e fanno luce sulle motivazioni di alcuni protagonisti, ma soprattutto dei tanti comprimari, tratteggiando una comunità disperata e assieme orgogliosa, spietata e talvolta umanissima, che finì per trovarsi dalla parte sbagliata della storia.

Alessandro Carlini, Partigiano in camicia nera, Chiarelettere, Milano, 2016

Una vicenda familiare, di quelle che spesso vengono lasciate perdere e di cui si parla poco volentieri, diventa per Alessandro Carlini la trama per un appassionato romanzo storico, che è assieme la biografia di un percorso umano che non rientra negli schematismi, talvolta manichei, della resistenza italiana. Uber Pulga, il protagonista del racconto, attraversa in tutti i ruoli possibili la guerra 1940-45: volontario nei Balcani, paracadutista della divisione Nembo sia con le stellette che con il gladio sulle mostrine, poi specialista nella guerriglia antipartigiana, spia, eroe di guerra decorato da Mussolini, e infine disertore e partigiano, fucilato dai fascisti. In ognuno di questi segmenti, il giovane Pulga, fascista per convinzione personale ed educazione familiare, si spende senza riserve e senza risparmi, spesso a rischio della propria vita, con la convinzione di svolgere la propria parte all’interno della guerra “del sangue contro l’oro” dichiarata dal balcone di piazza Venezia. Poi nei mesi della guerra civile, qualcosa si inceppa negli automatismi del protagonista, anche a causa del periodo trascorso come informatore dei fascisti all’interno di una formazione partigiana nella pianura reggiana. Inizia così un percorso di faticosa revisione del proprio sistema valoriale, che lo porta, dopo la promozione a ufficiale per merito di guerra conferitagli personalmente dal grigio duce di Salò, a fare il salto definitivo della barricata, comunque a suo modo, ossia in camicia nera. Ed è con questa contraddizione che andrà incontro al suo destino, venendo catturato dai suoi ex camerati, anche essi in camicia nera, dopo una spericolata azione volta a rifornire di armi i patrioti con cui era entrato in contatto. Torturato ripetutamente, Pulga sarà processato in modo sommario, e passato per le armi presso il cimitero di Gaiano, sulle colline parmensi. E’ da qui, sull’ultimo tratto di strada fatto a piedi dal giovane “partigiano in camicia nera” che l’autore riflette sulle contraddizioni di Uber, coraggioso e assieme ingenuo, spavaldo e incosciente, fascista e antifascista. Forse la chiave per comprendere il percorso umano del giovane mantovano,  dovrebbe essere proprio quella che ci lascia l’autore di questo bel lavoro: l’accettazione della complessità e delle contraddizioni, dopo decenni in cui i giudizi morali hanno imperversato anche sulle vicende storiche. Siamo grati ad Alessandro Carlini per averci lasciato questa memoria dolorosa, che dovrebbe farci riflettere su cosa siamo stati, per capire ciò che siamo oggi.

Gianluca Fulvetti, Paolo Pezzino (a cura di), Zone di guerra, geografie di Sangue, Il Mulino, Bologna, 2016

La gran mole di dati oggi disponibile grazie all’atlante delle stragi nazifasciste in Italia, disponibile online sul sito http://www.straginazifasciste.it/ rappresenta un passo avanti decisivo nello studio dell’occupazione tedesca nel nostro paese; in questo volume collettaneo, un gruppo di studiosi, diversi dei quali coinvolti nella lunga e faticosa compilazione dell’atlante, cerca di iniziare a trarre qualche conclusione su cosa si può dire di nuovo sui fatti di sangue avvenuti durante il biennio 1943-45. Fra le varie direttrici di studio, alcune ci paiono degne di nota; la prima riguarda la “contabilità” delle vittime: la larga maggioranza degli episodi di sangue sia addebitabile ai nazisti, mentre la violenza fascista appare inferiore nella portata omicida, anche se più parcellizzata, a dimostrazione di una diffusione capillare della guerra civile nel centro e nel nord Italia. La seconda considerazione è di tipo geografico: emerge infatti con prepotenza una memoria “figlia di un Dio minore” degli eccidi avvenuti nel Mezzogiorno, che invece furono numerosi e quasi sempre impuniti; la Campania, l’Abruzzo, la Puglia conobbero durante la ritirata della Wehrmacht una stagione particolarmente cruenta, che purtroppo ha scarsa o nessuna presenza nella memoria collettiva del paese. Infine la questione cronologica, dalla quale emerge con chiarezza come l’azione stragista degli occupanti raggiunse il culmine durante le ritirate aggressive dell’esercito tedesco, nell’autunno 1943, nell’estate del 1944 e nella primavera 1945. Non va dimenticato, infatti, specie per quanto riguarda l’ultimo anno di guerra, che l’intenzione dei nazisti era quella di arroccarsi sulla linea blu, che percorreva le prealpi lombarde, venete e trentine, e che i reparti in ritirata avevano ordine di farsi largo a qualsiasi costo per poter impostare una nuova linea di difesa. Infine nella distribuzione geografica degli eventi, è utile constatare come alcune zone siano rimaste sostanzialmente non toccate dalla tragedia della guerra, come l’Alto adige, parte del Trentino e del Bellunese: è superfluo sottolineare che questa area del paese era stata sottoposta al diretto controllo dei nazisti, e che, specie il Sud Tirolo, non aveva conosciuto alcun moto di resistenza agli occupanti, in molti casi considerati veri e propri liberatori. Il lavoro edito a cura di Fulvetti e Pezzino, insomma, rappresenta un notevole passo avanti non solo per quanto riguarda le conoscenze specifiche sul tema della “guerra ai civili” in Italia, ma anche nelle questioni di rilevanza statistica, forse meno appariscenti nel discorso pubblico sulla resistenza nel nostro paese, ma a parer nostro non meno importanti.