domenica 22 gennaio 2017

GIUSTIZIE / INGIUSTIZIE

Giustizia di comodo
Marco de Paolis, Paolo Pezzino , La difficile giustizia, Roma, 2016

Nel volume si affronta, sia dal punto di vista storiografico che da quello più strettamente giurisprudenziale la vicenda dei processi relativi ai crimini di guerra tedeschi in Italia; Paolo Pezzino descrive i procedimenti svoltisi fra il 1945 e il 1950, mentre il giudice de Paolis analizza la complessa stagione che ha coinvolto la magistratura militare nel primo decennio degli anni 2000, ossia dopo il rinvenimento dei fascicoli depositati nel cosiddetto armadio della vergogna. Nel corso della narrazione, dal contenuto civile notevole sia nel lato dedicato alla memoria della giustizia post bellica, che in quello sui processi che videro protagonista la procura militare di La Spezia, emerge purtroppo un limite frequentemente osservato in molta storiografia più recente, ossia la mancanza di riflessioni autocritiche. Se da un lato è senz’altro vero che i procedimenti ai maggiori criminali nazisti si conclusero con pene lievi sia nel periodo in cui i processi furono condotti da corti militari alleate, che in quello in cui i giudici appartenevano alla nostra giustizia militare, dall’altro occorre anche iniziare a dire che i motivi della mitezza non furono solo di opportunità politica all’interno dell’alleanza atlantica; la verità è che le indagini condotte dagli alleati furono costellate da imprecisioni e superficialità, che divennero vera e propria negligenza nel periodo successivo: prove mancanti, deduzioni errate, scarsa o nulla conoscenza degli organigrammi delle unità tedesche coinvolte nei massacri e la proverbiale inefficienza del sistema giudiziario nazionale. Al contrario di Pezzino riteniamo, che la copertura degli ufficiali nazisti per evitare di dover spedire gli ufficiali fascisti in Jugoslavia o in Russia a rispondere delle nostre malefatte sia stata ottenuta senza troppa difficoltà non a causa della guerra fredda, ma per colpa di una burocrazia elefantiaca che ha facilitato i disegni politici di allora. Spiace, al riguardo, la citazione ossessiva da parte di entrambi gli autori della relazione parlamentare di minoranza sui fascicoli depositati a palazzo Cesi, perché quella di maggioranza annota un dettaglio importante, non reperito nello studio: l’armadio ella vergogna, in realtà, era una scaffalatura, ed i fascicoli erano accessibili a chiunque. I magistrati militari sapevano, ma nulla hanno fatto o detto per una questione ben individuata, sia pure di passata, dal giudice de Paolis, ossia l’inveterata tendenza di molti componenti dell’apparato statale a svolgere il minimo contrattuale, ed in molti casi nemmeno quello. Le reazioni delle procure militari all’arrivo dei polverosi fascicoli romani sono luminosi esempi di questo atteggiamento: richieste di ulteriori informazioni, passaggi di carte al rallentatore, ricerche degli autori materiali condotte in modo talvolta risibile, fino alla sospirata archiviazione definitiva, che ha consentito alla maggioranza dei giudici di tornare a occuparsi di marescialli assenti senza permesso, furti dalle dispense e occultamento di materiale contenuto nei magazzini militari. Insomma, occorre dire che la parte migliore del volume non è quanto viene sostenuto o scritto, ma il non scritto e il non detto, dal quale emergono, a parere nostro, le responsabilità non soltanto dell’ingiustizia sulle stragi, ma anche di molte altre storture e cattive prassi delle istituzioni repubblicane.

Storie fasciste
Roberto d’Angeli, Storia del partito fascista repubblicano, Roma, Castelvecchi, 2016

Nella produzione letteraria su Salò mancava ancora uno studio che affrontasse in modo monografico la vicenda del fascismo a partire dal settembre 1943 all’aprile 1945. Il lavoro di d’Angeli ha il pregio di affrontare, senza deviazioni, se non marginali, l’evoluzione della proposta politica di Mussolini nell’ultimo scorcio della guerra, evitando le consuete dispersioni sulle vicende militari successive alla creazione delle brigate nere, ultima (e inevitabile) palingenesi dello squadrismo. Dalla ricerca, che si avvale di documentazione di notevole interesse, come il fondo Galmozzi nel quale è raccolto il corpus delle circolari interne al partito, e di una bibliografia – non recentissima – di consolidata validità storiografica, emergono alcuni elementi di interesse, fra i quali due ci paiono decisamente innovativi: la piena e pubblica adesione alla persecuzione antiebraica e le problematiche annesse alla elefantiaca burocrazia del PFR, che ereditò interamente la concezione di ente parastatale del proprio progenitore ante 25 luglio. Sull’antisemitismo viscerale e incondizionato dei vertici del partito, in teoria, poco ci sarebbe da dire, se non che i reduci della RSI cercarono in ogni modo di occultare l’inoccultabile; la stampa dell’epoca, infatti, è ricolma di invettive, quasi sempre firmate, contro gli israeliti, e alcuni dei più noti propagandisti del regime si spesero senza sosta per istillare l’odio razziale fra i lettori, peraltro con scarso esito. Senza alcuna remora, si fecero accenni, nemmeno velati, al destino che attendeva i deportati dall’Italia: in alcune testate venivano riportate, con raggelante compiacimento, le cronache degli effetti della persecuzione in altri paesi europei, soprattutto l’Ungheria e la Slovacchia. Avvicinandosi la fine del conflitto, l’ossessione per il “complotto giudaico massonico” oltrepassò l’odio verso il movimento di liberazione o gli alleati occidentali, e i tour propagandistici antisemiti nei teatri e cinema del nord Italia proseguirono fino all’aprile del 1945: una ostinazione davvero difficile da oscurare e che resta una macchia indelebile per gli ultimi epigoni del duce. Meno imbarazzante, ma pure sempre segno di come gli elementi di continuità con il passato fossero spesso assai inferiori di quelli di separazione dal vecchio PNF, è la questione dell’apparato amministrativo del partito; nonostante i desiderata di Alessandro Pavolini, la trasformazione del fascismo da partito politico a movimento armato, fu solo un progetto parzialmente realizzato. Certamente nacquero squadre d’azione prima e brigate poi, ma l’attività burocratica delle federazioni fasciste e delle istituzioni che erano emanazione delle stesse (enti assistenziali, giovanili e culturali) rimasero pienamente attivi, tanto da poter considerare Renato Ricci, ex comandante della guardia nazionale repubblicana e capo dei balilla della RSI, uno dei pochi uomini di successo del PFR, visto che gli iscritti alla sua organizzazione erano decine di migliaia. Il lavoro di d’Angeli risulta meno convincente nella parte inerente il collasso e la fine del fascismo, specie per quanto riguarda la confusa vicenda del cosiddetto ridotto della Valtellina, argomento sul quale i riferimenti utilizzati risultano datati o nettamente superati da studi nuovi, purtroppo assenti nel testo e in bibliografia. Nel complesso, comunque, la ricerca appare valida sotto molti punti di vista, e senz’altro innovativa nella tematica affrontata.

La decima de 'noartri
Massimiliano Capra Casadio, Storia della X Flottiglia Mas 1943-45, Milano, Mursia, 2016

Se dedicare uno studio sulla formazione guidata da Valerio Borghese dal 1943 a 1945, immaginando di poter dire cose nuove può apparire un’idea azzardata, iniziare l’argomento all’incirca a un terzo del volume (attorno a p. 180 su 460), ci pare imbarazzante. E pur tuttavia è forse l’aspetto meno discutibile del lavoro, che lascia perplessi fin dalla correzione delle bozze: troviamo ripetizioni, periodi in cui le parole sono appiccicate fra loro senza spaziatura, frasi monche, e soprattutto marchiani errori nella citazione di autori notissimi, come lo storico militare americano Jack Greene che è continuamente indicato come “Green” e soprattutto il povero Ricciotti Lazzero a cui viene invertito il nome col cognome. Gli argomenti sono trattati in modo approssimativo, affastellando ricostruzioni e interpretazioni, con poco criterio; senza soffermarsi sulla stagione pre armistiziale, che a differenza di quanto narrato da Capra Casadio, fu tutt’altro che splendida (a fronte di modesti successi i mezzi d’assalto della flottiglia e i relativi equipaggi furono decimati in azioni suicide) per la parte dall’armistizio in avanti, davvero ci si trova a riciclare le cronache reducistiche più datate: non è vero che Borghese fu lasciato senza ordini, ma scientemente si ammutinò a quelli ricevuti, e che furono ubbiditi non soltanto dalla flotta della regia marina a La Spezia, ma anche da alcuni dei suoi stessi uomini; gli accordi con i tedeschi non furono una scelta obbligata per “l’autonomia”, ma quasi certamente frutto di intelligenza fra il principe romano e le autorità naziste già in tempi precedenti alla resa italiana; la possibilità offerta alla X Mas di arruolare personale di terra fu autorizzata non tanto da Wihlelm Meendsen-Bohlken, responsabile della marina tedesca in Italia, ma direttamente dai vertici delle SS e della polizia, in funzione antipartigiana; i battaglioni restarono autonomi non tanto perche Borghese volle così, ma perché questo era il progetto di Karl Wolff, inviato di Heinrich Himmler nel nostro paese con pieni poteri; l’utilizzo al fronte, sporadico e di scarsissimo peso, fu sempre centellinato dallo stesso generale, senza la cui autorizzazione nessun reparto poteva uscire dalle caserme; dopo aver rastrellato in mezza Italia, al momento dell’insurrezione, Borghese invece che essere coi suoi uomini al fronte sul Po, era a Milano a trattare la propria personale sorte, cosa che gli riuscì perfettamente, a differenza di decine dei suoi sottoposti, i quali, specie nella Venezia Giulia, ebbero sorte tutt’altro che benigna; nel dopoguerra e negli anni ’60, il principe non subì ingiustizie di sorta, anzi, invece di ringraziare la sua buona stella e le autorità democratiche del nostro paese che con lui furono di manica assai larga, tanto brigò e fece nell’ambito dell’estrema destra da essere costretto a fuggire in Spagna dopo l’abortito golpe del dicembre 1970; qui morì nelle braccia di una entraineuse, conclusione a suo modo in linea con il personaggio, ma tutt’altro che eroica. Questo è. Dire e scrivere cose diverse nel 2016, appare risibile. Sapere che questo lavoro, davvero mediocre, è stato premiato dalla marina militare italiana ci pare invece stupefacente. E a suo modo grottesco.