A distanza di qualche tempo ripercorro le più importanti uscite storiche dell'ultimo periodo, scusandomi per la periodizzazione un po' altalenante delle uscite, problema che temo non sarà risolto nel prossimo periodo. Spero comunque di offrire ai lettori uno strumento interessante e in qualche modo utile.
L'autore
Mario
Avagliano, Marco Palmieri, 1948, Il
Mulino, Bologna, 2018
Prosegue
il lavoro di rilettura della nostra storia recente da parte dei due autori, e come
sempre ci troviamo di fronte a descrizioni ed analisi tutt’altro che banali o
convenzionali; lo studio di un anno cruciale per le vicende della nazione, durante
il quale entrò in vigore la costituzione, la DC vinse contro il fronte socialcomunista
e il paese rischiò di scivolare in una nuova, sanguinosa guerra civile, ha il
suo filo conduttore nelle tante italie che affrontavano il durissimo
dopoguerra: quella dei mille campanili e di una divisione (che tuttora esiste)
fra nord e sud della nazione; quella della forze politiche cattoliche, laiche e
socialiste che guardavano a occidente e dello schieramento marxista legato a
doppio filo all’Unione sovietica; quella della gente comune, tanta gente
comune, che cercò, nonostante tutto e tutti, di rimettere in piedi una nazione
stremata e devastata, per farne un posto migliore. E infine, quella di una
classe politica che, vista con l’occhio di oggi, pare composta da giganti,
anche quando si parla di comprimari. Non possiamo che essere grati ai due
studiosi per averci offerto questo nuovo e interessante sguardo su ciò che
eravamo, con la speranza di capire meglio ciò che siamo oggi.
Giuseppe
Brienza, Cattolici e anni di piombo, Solfanelli,
Chieti, 2017
La
Democrazia cristiana, da metà degli anni 60 alla fine degli anni 70, ebbe
l’ingrato compito di dover assieme governare il paese, progettare il futuro
della nazione, e subire contemporaneamente l’ira sanguinaria dell’estremismo
politico di sinistra, e dell’odio sociale diffuso a piene mani dopo il 1968
nelle scuole e nelle università. Nonostante questo, il partito ebbe il merito
di riuscire a mantenere un livello di dibattito interno degno di rilievo e
spesso sottovalutato. Giuseppe Brienza si concentra su uno degli aspetti meno
conosciuti di questi fermenti, ossia il progetto gollista e presidenzialista di
Bartolo Ciccardini e alla rivista “Europa Settanta”. I frutti di quella
discussione purtroppo sono rimasti chiusi in qualche cassetto di un parlamento
che conobbe prima il riflusso della partitocrazia, e poi la stentata seconda
repubblica post tangentopoli. Ciccardini ha lasciato molto su cui riflettere, e
bene ha fatto Brienza a ricordare questo politico cattolico con la schiena
dritta, di cui chi scrive ha avuto l’onore di essere amico e collega nella
difficile gestione dell’Associazione partigiani cristiani, di cui fu presidente
fino alla scomparsa.
Renato
Sasdelli, Fascimo e tortura a Bologna, Pendragon,
Bologna, 2017
L’autore
ritorna, dopo dieci anni dall’interessante Ingegneria
in guerra, a narrare la tragica trasformazione di una parte importante del
polo universitario bolognese in un centro destinato alla detenzione e alle
sevizie dei partigiani del capoluogo. Il lavoro si sviluppa cronologicamente
con alcune interessanti premesse riguardanti l’attitudine alla violenza che si
riscontrava nelle sedi littorie anche prima dell’armistizio e dell’occupazione
tedesca: un rosario di pestaggi, perquisizioni, arresti arbitrari che avevano
costellato l’intero ventennio, e che furono la cifra distintiva del fascismo
felsineo nel corso della RSI. Sasdelli amplia, con dettagliate schede
individuali alcuni dei profili dei maggiori responsabili, la tragica cronaca
dei seicento giorni della facoltà di ingegneria sotto le insegne di Salò. Come
è facile immaginare, escludendo coloro che furono vittime della giustizia
sommaria post 25 aprile e alcuni comprimari, gli esponenti di punta del
fascismo bolognese passarono praticamente indenni la stagione delle corti
d’assise straordinarie, per ritornare già negli anni ’50 alle proprie
professioni. La memoria, purtroppo, non è mai stata la specialità della nostra
nazione, nemmeno nelle regioni che hanno fatto, per propaganda ideologica,
decenni di antifascismo militante.
Andrea
Carlesi, Pistoia nella RSI, Greco&Greco,
Milano, 2016
Alcuni
dei più consistenti passi avanti nella ricostruzione della tormentata storia di
Salò, sono giunti in anni recenti da una serie di studi redatti da studiosi
locali, che hanno analizzato pazientemente le vicende del fascismo “in
provincia”, ossia nei luoghi dove maggiormente si sentivano gli effetti della
policrazia post armistiziale. Andrea Carlesi indaga, con notevole abbondanza di
documenti, fonti edite e inedite, e diverse testimonianze, la realtà pistoiese,
la quale presenta aspetti inediti e fino ad oggi poco conosciuti. Come altrove
il fascismo post armistiziale rinacque con uomini rimasti ai margini nel corso
del ventennio, i quali non faticarono a farsi la fama di estremisti, e a
circondarsi di collaboratori, spesso giovani e giovanissimi, altrettanto e
forse più fanatici degli squadristi “anni ‘20”. I fatti di sangue, assai
circoscritti, riguardarono episodi di faide stracittadine o di paese, e il
passaggio del fronte, con il tragico episodio del padule di Fucecchio. Le
camicie nere, come sappiamo, si ritirarono con i nazisti, e si insediarono a
Bormio e, cosa ignota, a Lodi, specie per quanto riguarda i montecatinesi.
Entrambi i nuclei si fecero comunque mal volere, proseguendo l’attività
antipartigiana fino alle estreme conseguenze, restando spesso vittime delle
rappresaglie successive alla liberazione.
AA.
VV., Oltre il 1945, Viella, Roma,
2017
Si
tratta di un volume collettaneo curato da Enrico Acciai, Guido Panvini, Camilla
Poesio, Toni Rovatti, che ha come argomento la transizione fra guerra e
dopoguerra al termine del secondo conflitto mondiale. Sia pure apprezzabile, lo
studio testimonia il ritardo della storiografia ufficiale rispetto a questo
tema, affrontato invece in modo diffuso nell’ultimo ventennio da studiosi non
appartenenti al mondo accademico, i quali hanno contribuito a risollevare
l’argomento dalle secche ideologiche post resistenziali. Fa riflettere, per ben
comprendere l’intonazione generale del testo, l’intervento di Camilla Poesio,
la quale scopre la vergogna del campo di concentramento di Coltano oltre un
quarto di secolo dopo il pionieristico lavoro di Pietro Ciabattini, che lì era
stato internato nell’estate del 1945. L’autrice affronta l’argomento come se
nessuno prima di oggi avesse scritto nulla su quei reticolati, vergognosi per
un paese che aveva appena conquistato libertà e democrazia. In realtà sul tema
molto è stato già detto scritto, certamente non per merito dei ricercatori del
mainstream storiografico. Magari, avrebbe giovato se, almeno in nota, si fosse
fatto cenno a tutti quelli che hanno dedicato gratuito impegno a portare avanti
il dibattito pubblico su questi argomenti.
Daniele
Trabucco, Michelangelo de Donà, L’ordinamento
giuridico della Repubblica sociale Italiana, Solfanelli, Chieti, 2017
Gli
autori affrontano un tema controverso, ossia l’abbozzo, mai pienamente
sviluppato di quello che sarebbe dovuta diventare l’architettura costituzionale
della repubblica di Mussolini; è, ovviamente, una storia di “wannabe” perché nei
diciotto mesi di vita della repubblica lacustre, molto restò sulla carta, fatto
salvo un tentativo di applicazione, ormai fuori tempo massimo, delle velleità
corporative descritte nel “manifesto di Verona”; i diciotto punti di quel
documento dovevano essere la base di discussione per una successiva assemblea
costituente, che, come sappiamo, non fu mai convocata. Restano i progetti di
carta fondamentale redatti da vari intellettuali vicini al duce di Salò, che una
volta letti e corretti, venivano messi agli atti, senza alcun tipo di
rispondenza nell’ordinamento giuridico. L’ultimo governo fascista produsse
semmai un corposo insieme di decreti con effetto di legge, i quali, questi sì,
ebbero conseguenze sulla vita dei cittadini del nord Italia, dall’organizzazione
delle forze armate all’architettura amministrativa della nazione, con l’introduzione
della figura del “capo della provincia”. Rileggere quel “corpus” fa comprendere
che l’azione di governo, effettivamente ci fu, ovviamente condizionata dalla
guerra e dall’occupazione tedesca. E che fu tutto sommato esercitata entro
limiti non diversi dal governo del re insediatosi a Brindisi …